Processo di alfabetizzazione, scolarizzazione obbligatoria,
democratizzazione culturale, accessibilità universitaria: tutti fattori
chiave che hanno negli anni chiaramente innalzato il livello culturale
in Italia. Oggi è naturale frequentare la scuola dell’obbligo,
proseguire gli studi, leggere per puro piacere, dilettarsi con la
scrittura, iscriversi alle più disparate facoltà universitarie. Possiamo
definire conclusi, dunque, i tempi in cui il dialetto costituiva la
modalità di comunicazione per eccellenza e dominava incontrastato in
ogni dove d’Italia, mentre la lingua italiana “vera” rappresentava
ancora un “privilegio” riservato a pochi eletti.
Oggi tutti gli italiani sono chiaramente in grado di parlare e
scrivere correntemente (o quasi) in lingua italiana e senza neanche
grosse difficoltà. La lingua italiana, quindi, é diventata per tutti,
ma, soprattutto “appartiene a tutti”. Ma quanti, invece, sono in grado o
possono dirsi in grado di parlare un italiano “perfetto” o ”semi”
e di qualità elevata?
Quanti autoctoni riescono attualmente ad usare la
nostra lingua camaleonticamente, adattandola ai vari interlocutori e
assegnandogli di volta in volta un graduale livello formalità e
declinandola in base alle “richieste” del contesto? Siamo tutti in
grado di comunicare con l’altro in maniera efficace? Siamo capaci col
nostro linguaggio di persuadere, affascinare, intrigare? Siamo sicuri di
utilizzare opportunamente le parole che “scegliamo” per il nostro
parlare quotidiano?
La lingua italiana é sicuramente una delle lingue più complesse del
ceppo linguistico neolatino e, a parere di chi scrive, forse è proprio
questa sua complessità a renderla unica e straordinariamente
affascinante. I nostri vocabolari sempre più ricchi, infatti, ci
raccontato di una lingua che non lascia nulla al caso. Ogni aspetto,
ogni cosa, ogni momento della vita di chi parla l’italiano può dirsi
“identificato” attraverso un termine preciso e sempre appropriato. Ma
quanti sono in grado, però, di far propria questa ricchezza
terminologica? Quanto si riesce effettivamente a variegate il proprio
parlare di ogni giorno?
A queste domande il nostro magazine ha provato a dare risposta
attraverso l’aiuto di un grande esperto della lingua italiana.
Controcampus ha incontrato, infatti, l’emerito professore
Edorado Lombardi Vallauro, docente di Linguistica presso l’università di
Roma Tre e autore del libro “
Parlare l’italiano. Come usare meglio la nostra lingua” (Il Mulino, 2012).
- Parlare l’italiano, o meglio saper usare opportunamente la
lingua italiana rappresenta oggi, a quanto pare, un’abilità che
appartiene ancora a pochi. Lei che uno studioso della nostra
lingua, a cosa riconduce questa scarsa qualità nello scrivere e nel
parlare degli italiani? Quali responsabilità del sistema
educativo/scolastico?
Appartiene a pochi nella sua forma più compiuta, flessibile,
elegante ed efficace. In forme meno perfette, tutti parlano e quasi
tutti scrivono, con un progresso verticale rispetto a pochi
decenni orsono, quando la comprensione e l’uso dell’italiano –
tanto più scritto - non si estendevano neanche a tutto il corpo
sociale. Sono note le cause di questo imponente miglioramento, dalla
scuola alla televisione nazionale e in ultimo a internet. In
particolare la scuola ha meriti immensi. Non ci inganni il
fatto che oggi si sente più spesso di prima usare male
l’italiano: è perché un tempo lo usavano pubblicamente pochi “eletti”,
mentre oggi lo possono usare pubblicamente tutti. Ma proprio questa
ormai vasta diffusione della lingua a
livelli accettabili ci propone una possibilità nuova: portare
tutti a un livello superiore; di vera, pienamente utile,
rallegrante padronanza. E anche su questo la scuola può dare un
contributo determinante. A condizione che i prossimi governi non
portino a termine ciò che hanno iniziato i precedenti, cioè il progetto
di distruggerla.
- Università e uso corretto della lingua italiana. Docenti da
più parti d’Italia lamentano un’incapacità, per un importante numero di
studenti, di sostenere un esame mantenendo un livello medio alto
d’italiano nel conferire durante gli esami. La situazione peggiora nel
caso in cui gli studenti si trovino a dover svolgere test ed esami
scritti. C’è un modo secondo lei per recuperare concretamente in
quegli anni un corretto uso della lingua, c’è tempo effettivo
durante i cinque anni accademici per dedicarsi “anche” al
miglioramento del proprio italiano?
Certo, l’accesso di massa all’istruzione superiore vi porta anche
coloro che non sono ancora completamente “pronti”. Ma è sempre
meglio di quando lo stesso tipo di persone (concretamente, i loro
genitori, e prima i loro nonni) non ci arrivavano proprio,
all’istruzione superiore. Allargando la base, è più difficile mantenere
la stessa altezza. Personalmente non credo che
l’università debba occuparsi di colmare questo ritardo, quando c’è.
L’università deve già insegnare le materie di cui si compone il sapere
che viene riconosciuto indispensabile nei vari campi. Chi non ha pratica
sufficiente dell’italiano, e in particolare dell’italiano scritto,
dovrebbe – e potrebbe – praticarlo di più dove esso esiste nella sua
forma migliore: la buona letteratura. Leggere molti libri scritti molto
bene dota chiunque di un buon italiano. Anni fa un’indagine voluta da
Tullio de Mauro come Ministro della Pubblica Istruzione rivelò che negli
italiani il soddisfacente controllo della lingua non
correlava né con l’età, né con il censo, né con la provenienza
regionale, né con il titolo di studio. L’unico parametro che si trovò in
correlazione statistica significativa con la padronanza della
lingua era… il numero di libri presente in casa.
- La presenza sempre più consistente di stranieri in Italia
potrebbe ancor di più assottigliare lo “spessore” e la qualità della
nostra lingua oppure ritiene che, al contrario, possano verificarsi
anche dei condizionamenti positivi?
La presenza di stranieri non può in alcun modo danneggiare
l’italiano, a meno che l’arricchimento di parole di origine straniera
possa essere considerato un danno per la lingua; ma questa
concezione “purista” è ben difficile da sostenere. In ogni caso,
l’italiano contiene già molte migliaia di parole di uso comunissimo che
hanno origine francese, inglese, tedesca, spagnola, russa, araba, e
virtualmente di ogni altra lingua un po’ importante sulla scena
mondiale. Da approccio a bistecca,
da gasolio a seduttivo,
da burro a civiltà, da miccia a ottimista:
che danno ci arrecano queste utilissime e rispettabili parole? E forse
che film, sport o computer, la cui provenienza
straniera è più visibile perché le abbiamo importate in un secolo in cui
la familiarità con le lingue straniere ci ha resi capaci di non
italianizzarle troppo, ci danneggiano di più? Suvvia. Peraltro,
ciò che conduce a importare parole straniere è molto più il prestigio
di una civiltà che la presenza di cittadini stranieri sul territorio.
Gli immigrati in Italia sono una fonte molto debole di contaminazione
linguistica. Certo, non tutti fra loro arrivano rapidamente a
parlare un buon italiano;e certo potebbero ricevere un aiuto
maggiore; ma questo non influisce sul modo in cui parlano
l’italiano quelli che l’hanno come lingua materna.
- Internet: l’informazione “mordi e fuggi”, il luogo
dove ognuno può scrivere e raccontare di qualunque cosa e in qualsiasi
modo, quasi sempre “per frammenti”. Troppo spesso ci si imbatte,
navigando on line, in vere e proprie perdite di senso della lingua
italiana dove contenuti, fatti, notizie sono raccontati attraverso
linguaggi “di getto”, a volte “banali”, attraverso espressioni
sgrammaticate e priva di forme in perfetto stile italiano. Quali
ulteriori effetti benefici e/o malefici si potrebbero verificare nei
prossimi anni?
Come abbiamo detto prima, la possibilità di parlare e
scrivere estesa a tutti porta in pubblico forme imperfette di
espressione; ma è sempre un progresso rispetto a quando a esprimersi
erano solo i super-preparati e super-autorizzati, cioè pochissimi,
mentre quasi tutti gli altri non ne erano capaci e non avevano la
possibilità di farlo. Un rischio però c’è: che l’imperfezione, se
portata alla pubblica ribalta, faccia da modello (negativo) e venga
imitata su larga scala. A questo proposito devo dire che oggi la
televisione è molto peggiore di Internet, dove le persone hanno pur
sempre un ruolo in parte attivo e quindi critico (anche sulla forma, non
solo sul contenuto). La stupidità dei contenuti e la banalità
espressiva stanno di casa in televisione più che in qualsiasi altro
luogo. E la televisione ha più di ogni altra cosa il potere di rendere
le persone passive imitatrici di modelli molto fiacchi; anche – benché
non solo – sul piano linguistico. Far tacere la pochezza dei “bravi
presentatori” sarebbe uno dei passi importanti sulla strada della
civiltà.
- Il mondo della comunicazione virtuale via chat o degli sms
tra giovani oggi è sempre più denso di abbreviazioni quasi
incomprensibili, acronimi italiani e inglesi e parole a cui si associano
significati sempre più inediti. Nel suo libro più volte sottolinea
l’adeguamento della nostra lingua alle consuetudini del parlare
quotidiano. Siamo prossimi ad accogliere anche in altri ambiti parole
come LOL, ASAP, IMO, DGT, XO’, CMQ, C6?, DGT, CPT, XDN… ?
Non bisogna confondere la lingua con l’ortografia. Gli esempi che
mi cita sono certamente di attualità, ma riguardano il
modo abbreviato con cui vengono scritte alcune
parole o espressioni (per la verità, ben
poche). Chi negli sms scrive xò continua a
dire però, e non si sogna di dire “icsò”, e chi
scrive cmq non si sogna di dire “ciemmecù”. In
alcuni casi (ancora meno numerosi, e spesso scherzosi) queste
abbreviazioni, e soprattutto sigle, originate dal vantaggio che
procurano in contesti di scrittura rapida, vengono adoperate anche nel
parlato e diventano parole a pieno titolo. E allora? Che problema
c’è? È sempre successo che gli acronimi (le sigle) e le
parole abbreviate venissero adoperati per sveltire la
comunicazione. Vorremmo forse imporre a tutti di dire
sempre“Imposta sul Valore Aggiunto” invece di iva?
Oppure cantante autore e elicottero porto invece di
cantautore ed eliporto? La verità non è
che le nuove abbreviazioni
e sigle “targate” telefonino
o computer peggiorino l’italiano. Né che siano
“incomprensibili” per tutti; ma solo per chi non sta dietro al fluire
della storia. La verità è che chi ha altri motivi per diffidare dei
moderni mezzi di comunicazione è alla ricerca di pretesti per dirne
male; e allora si inventa che bisogna mettere in guardia contro i danni
che potrebbero fare alla lingua. È solo l’ennesima
incarnazione del moralismo, cioè dell’atteggiamento di chi dice: se io
questa cosa non la so o non la posso fare, voglio che non la faccia
nessuno.
© Riproduzione Riservata
Nessun commento:
Posta un commento